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"Un bel libro, Marcus, non si valuta solo per le sue ultime parole, bensì sull'effetto cumulativo di tutte le parole che le hanno precedute. All'incirca mezzo secondo dopo aver finito il tuo libro, dopo averne letto l'ultima parola, il lettore deve sentirsi pervaso da un'emozione potente; per un istante, deve pensare soltanto a tutte le cose che ha appena letto, riguardare la copertina e sorridere con una punta di tristezza, perché sente che quei personaggi gli mancheranno. Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito". [Joël Dicker in "La verità sul caso Harry Quebert"]

domenica 17 settembre 2023

Wilbur Smith: L'uccello del sole

Wilbur Smith: L'uccello del sole

Formato: copertina rigida
Pagine: 490
Editore: Edizione CDE (1990)

Acquistato a: settembre 1990
Letto dal - al 1 aprile 2014

Sinossi
Il sogno dell'archeologo Ben Kazin sta per realizzarsi. Per anni, incurante del beffardo disprezzo dei colleghi, ha raccolto testimonianze della cultura orale africana, cercando di dimostrare che un'antica civiltà del Mediterraneo, probabilmente fenicia, si era stabilita nel Sudafrica e aveva fondato la mitica Città della Luna, Opet.
Ora, grazie a una foto satellitare, Ben ha individuato una traccia concreta che lo porta fino nel Botswana, a Katuba Ngazi, le Colline di Sangue, dove, tra inseguimenti e cacce grosse, riesce a strappare alla terra i suoi segreti: gioielli, armi d'oro massiccio, antichissime pitture boscimane e soprattutto un'iscrizione in cui si racconta la storia di Opet, il luogo prescelto dal dio del Sole Baal e dalla dea Astarte per custodire il Tempo. Ma per capire davvero le meraviglie della città scomparsa dovrà ripercorrere le crudeli vicende di quell'epoca magnifica e feroce e, soprattutto, interpretare la profezia che ne ha decretato la tragica fine. Che cosa può infatti aver determinato la scomparsa di un regno così forte e opulento?
Esiste forse un legame tra Ben (soprannominato dai boscimani Piccolo-uccello-del-Sole) e il sacerdote Huy Ben-Amon, Grande-uccello-del-Sole? Il passato, inaspettatamente, si riflette nel presente e dà vita a un complesso, affascinante gioco di specchi che Wilbur Smith, qui alla sua prima avventura archeologica (anticipatrice dei romanzi egizi), mette in scena con assoluta maestria.

La mia recensione
Eccezion fatta per la saga egiziana di Taita, è la prima volta che leggo un qualche libro di Wilbur Smith e devo ammettere che questo è davvero fantastico e letteralmente diviso in due parti … e il bello e che ciascuna di esse, pur essendo metà lavoro, è intrecciata con l'altra ma può essere letta indipendentemente. Tanto per farvi capire un po', nella prima parte (faccio un riepilogo veloce in modo da non rovinarvi la lettura ed il finale) un famoso archeologo nano e storpio parte, nonostante il parere contrario del mondo accademico, alla ricerca di una misteriosa civiltà fondata nel cuore dell'Africa dai fenici. Ma, soprattutto, dovrà rispondere ad un mistero: perché questa civiltà, sempre se esiste, è caduta nell'oblio della storia? Nella seconda parte del romanzo, invece, rivivremo (duemila anni prima dai fatti narrati nella prima parte) le vicissitudini del sacerdote Huy ben-Amon.
Con la trama mi fermo qui per non anticiparvi niente del legame che intercorre tra i due protagonisti… anche se è facilmente intuibile!
Quello che è mi ha affascinato di questa lettura è, oltre all'innovativa idea di dividerlo in due, la bellissima (e a tratti davvero cinematografica) descrizione dell'Africa e dei suoi popoli, boscimani in primis. Esistono pochi autori che, partendo da uno spunto o da un semplice concetto, riescono a fare miracoli… Wilbur Smith è uno di loro e non a caso è il mio autore preferito.
Voto: ⭐⭐⭐⭐⭐ (5 su 5)

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