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"Un bel libro, Marcus, non si valuta solo per le sue ultime parole, bensì sull'effetto cumulativo di tutte le parole che le hanno precedute. All'incirca mezzo secondo dopo aver finito il tuo libro, dopo averne letto l'ultima parola, il lettore deve sentirsi pervaso da un'emozione potente; per un istante, deve pensare soltanto a tutte le cose che ha appena letto, riguardare la copertina e sorridere con una punta di tristezza, perché sente che quei personaggi gli mancheranno. Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito". [Joël Dicker in "La verità sul caso Harry Quebert"]

venerdì 14 novembre 2025

Su "Il Venerdì di Repubblica" di venerdì 14 novembre 2025 un'intervista a Ian McEwan: "Scrivo del futuro per parlare del presente"

Ian McEwan: Il futuro che ci meritiamo
«Oggi troppi romanzi si perdono nella soggettività. Io ho provato a scriverne uno specchio dei nostri tempi». Lo ha fatto raccontando un Pianeta distrutto da follie umane e vendette climatiche. E da certi personaggi a tutti noi ben noti. Intervista con spiragli di speranza


Apocalypse now. La Russia ha lanciato una bomba atomica nell'Oceano Atlantico, innescando uno tsunami da 200 milioni di morti. Sommerse mezza America, l'Europa e pure Londra. Gli Stati Uniti sono governati da brutali signori della guerra. La Nigeria è diventata l'ombelico culturale, geopolitico e digitale del mondo. L'aspettativa di vita media è scesa a 62 anni. L'intelligenza artificiale ha preso il potere, il cambiamento climatico è diventato realtà, la Germania è incorporata nella "Grande Russia". Nuove Atlantidi, incubi atavici. Nel suo ultimo romanzo, Quello che possiamo sapere (Einaudi), Ian McEwan lo chiama il "Grande Disastro": "Follia umana e furia vendicativa dei sistemi climatici".
«Ma non chiamatemi profeta», avverte con la sua voce levigata il 77enne scrittore inglese, Booker Prize 1998 per Amsterdam, «ho semplicemente provato a scrivere un romanzo dei nostri tempi». Maglioncino ceruleo come i suoi occhi, calze a righe, capelli candidi e immacolati, McEwan ci accoglie nel suo rifugio londinese, ossia una delle mews, vecchie stalle reali del centro riconvertite in deliziose e floreali residenze, a Bloomsbury, il quartiere degli intellettuali. «Andiamo di sopra». Conversiamo a lungo nel suo soggiorno assediato di libri: le lettere di Charles Darwin, I cani e i lupi di Irène Némirovsky, Le leggi della frontiera di Javier Cercas, A un cerbiatto somiglia il mio amore di David Grossman. Quello che possiamo sapere è il diciannovesimo romanzo di McEwan, un'opera che danza in tre secoli e che aggira la pigra distopia.
È il 2119 e l'accademico inglese Tom Metcalfe concentra la sua ricerca tra il 1990 e il 2030, soprattutto su un poema-capolavoro scomparso. L'autore, il poeta Francis Blundy, paragonato a Seamus Heaney e Philip Larkin, ne ha distrutto ogni bozza. Ma una copia potrebbe essere sopravvissuta e allora Metcalfe si tuffa nei diari di Vivien, moglie di Blundy, nelle email e nelle chat sue e del marito. Incluse quelle che riguardano la "Seconda Cena Immortale", un banchetto intellettuale a cui i Blundy e alcuni loro amici hanno partecipato nel 2014, a sua volta remake di una cena di due secoli prima con star come Keats e Wordsworth.
Da qui McEwan, come solo lui sa fare, scolpisce un intreccio di realismo psicologico, grande freddo della civilizzazione, perfido amore, sordidi istinti, letteratura gloriosa: i paradossi della Storia già visti in Cani neri, l'erosione della Memoria, l'audacia futuristica del suo precedente Solar, infimi omicidi, colpi di scena, e la fragilità delle nostre convinzioni che forse solo in Espiazione aveva dipinto così bene. Per McEwan, Quello che possiamo sapere è «fantascienza senza scienza». Ma anche una spasmodica ricerca negli anfratti più profondi della raison d'être umana. Che tende all'autodistruzione ma mantiene una eccezionale capacità di rigenerarsi. Nonostante l'apocalisse bussi alle porte.
Se non è una profezia, allora cos'è questo romanzo? «Ho voluto riflettere su a che punto siamo ora, ma con un'ottica storica. Mi è venuto naturale, come in Miele su spie e Guerra Fredda, in Macchine come me sull'intelligenza artificiale, in Solar sul cambiamento climatico: chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando. Oggi troppi romanzi si perdono nella soggettività. Mentre di recente ne ho amato uno italiano, Le perfezioni, di Vincenzo Latronico: un ottimo esempio per cercare di capire gli effetti dei social media sugli umani. E poi un bellissimo romanzo olandese, Questo post è stato rimosso di Hanna Bervoets, su alcuni impiegati di una grande azienda di Big Tech che per otto ore al giorno devono togliere dalla rete contenuti disgustosi, violenti, pieni di odio - insomma il lato più vomitevole dell'umanità - e che alla fine impazziscono. Quindi ho provato anch'io a scrivere un romanzo specchio dei nostri tempi».
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