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"Un bel libro, Marcus, non si valuta solo per le sue ultime parole, bensì sull'effetto cumulativo di tutte le parole che le hanno precedute. All'incirca mezzo secondo dopo aver finito il tuo libro, dopo averne letto l'ultima parola, il lettore deve sentirsi pervaso da un'emozione potente; per un istante, deve pensare soltanto a tutte le cose che ha appena letto, riguardare la copertina e sorridere con una punta di tristezza, perché sente che quei personaggi gli mancheranno. Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito". [Joël Dicker in "La verità sul caso Harry Quebert"]

sabato 29 novembre 2025

"Victorian Psycho", il gotico è tra i 100 migliori libri del 2025 secondo il NYT

Victorian Psycho, il gotico è tra i 100 migliori libri del 2025 secondo il NYT
Victorian Psycho, entra nella lista dei migliori libri del 2025 secondo il New York Times e apre uno spiraglio alla letteratura gotica moderna

👉 fonte: LibreriAmo

Victorian Psycho è stato inserito tra i 100 Notable Books of 2025 segnalati dal New York Times Book Review: Here is the standout fiction and nonfiction of the year, selected by the staff of The New York Times Book Review. La lista è stata annunciata dall'account ufficiale @nytbooks, e il titolo di Virginia Feito compare tra le uscite dell'anno che hanno colpito la redazione per originalità e forza narrativa. A confermare il momento d'attenzione internazionale, Time ha definito il libro "deliciously macabre", includendolo tra le letture da non perdere.
Una casa padronale nell'Inghilterra del 1858, una giovane governante che parla in prima persona e promette al lettore due cose con la calma di chi ha già scelto: ordine assoluto e distruzione. Con Victorian Psycho (Mercurio, traduzione di Clara Nubile), Virginia Feito torna a spostare il baricentro del thriller psicologico dentro gli spazi della rispettabilità. Lo aveva già fatto con Mrs. March; qui affila ancora di più il rasoio: il romanzo usa i codici del gotico vittoriano - la grande casa, la padrona, i bambini, le scale, i corridoi, le stanze "giuste" e quelle interdette - per ribaltarne gli usi rassicuranti e chiedere: che cosa succede quando la violenza non arriva da fuori ma coincide con la voce narrante?
Il libro non si limita a "fare il verso" ai classici: li usa come materiale da costruzione. Feito prende l'archetipo della governante (da "Jane Eyre" in poi) e lo scardina dall'interno, lavorando sui dettagli quotidiani: una chiave sottratta, una porta accostata, il ritmo militaresco dei compiti domestici, i sopraccapi morali della padrona di casa, Ensor House come teatro dove il decoro è scenografia e arma. A tenerci lì, pagina dopo pagina, non è tanto il chi farà cosa (Feito suggerisce presto la direzione), ma come la narratrice - Winifred Notty - costruisce e giustifica ogni passo; e quanto il nostro stesso bisogno di ordine finisca per tifare, suo malgrado, per lei.
È la vigilia di Natale del 1858 quando Winifred arriva a Ensor House come governante. Giovane, impeccabile, severa, si impone con una disciplina che pare virtù e invece è controllo. Il suo racconto alterna meticolosità domestica e fenditure improvvise: l'igiene come forma mentis, le punizioni come "pedagogia", la rigida catalogazione di oggetti e persone, tutto raccontato con una lingua che cerca la perfezione come alibi e come ossessione. Il romanzo mette subito sul tavolo il suo patto: nessuna consolazione psicologistica, nessuna attenuante romanzesca. La narratrice è affidabile nel senso meno comodo del termine: dice il vero su di sé, e quel vero è agghiacciante.
Questa trasparenza di base sposta la suspense: non "chi è il colpevole", ma "quale cornice morale può contenere ciò che stiamo leggendo". Feito procede per scarti di tono: l'umorismo nerissimo che intride certe osservazioni di Winifred, il gusto per la frase perfettamente lucidante, l'improvvisa torsione che riporta ogni briciolo di ironia alla sua matrice crudele. Il risultato è un romanzo dove il magnetismo della protagonista ci trascina dentro un dispositivo etico: continuare a leggere significa accettare di condividere la stanza con l'inaudito, e di guardarlo senza abbassare lo sguardo.
Il lavoro più interessante del libro è forse genealogico. La governante-eroina ottocentesca, custode di sé, povera ma integra, trova qui un doppio speculare: la governante-psicopatica che rivendica autonomia, ma per esercitare dominio. Feito non demonizza un'astratta "femminilità"; piuttosto indaga un punto cieco della tradizione: quante volte la cura e l'ordine sono serviti a mascherare poteri disciplinari?
Il romanzo porta in superficie l'ombra di Bertha Mason - la "pazza in soffitta" di Jane Eyre - e la sposa, con malizia, alla freddezza di Patrick Bateman evocato dai paratesti. Ma a fare la differenza è la scrittura: meno splatter e più clinica, più interessata ai rituali della mente che ai loro esiti scenici.
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