«La prima cosa che la lettura insegna è come stare da soli»: ecco perché questa idea oggi è più attuale che mai
La lettura non è evasione, ma pratica di solitudine buona: ti insegna a restare con te stesso senza vuoti. Ecco perché può dare libertà emotiva, attenzione e spessore
👉 fonte: Studenti.it
«La prima cosa che la lettura insegna è come stare da soli». Jonathan Franzen
Non è una frase contro il mondo, né un invito a chiudersi. È, semmai, una dichiarazione di indipendenza interiore. Leggere significa allenarsi a una forma di solitudine abitata: non il vuoto, ma uno spazio in cui ci si sente presenti a sé stessi, senza bisogno di essere continuamente raggiunti da stimoli, notifiche, voci, richieste. In quel silenzio scelto, la mente smette di inseguire e torna a posarsi. Si impara a sostenere l'attesa, a dare un ritmo diverso ai pensieri, a riconoscere ciò che conta davvero. Ed è proprio lì che la lettura diventa un gesto di libertà: non toglie il mondo, lo rimette a fuoco.
Stare da soli non è sentirsi soli
C'è una differenza sottile ma decisiva tra solitudine e isolamento. L'isolamento pesa, restringe, fa percepire l'assenza come una mancanza. Stare da soli, invece, è una competenza: la capacità di reggere il silenzio senza trasformarlo in ansia, di attraversare un pomeriggio senza riempirlo per forza, di non cercare costantemente una distrazione che ci confermi che esistiamo. La lettura, con la sua lentezza e con il suo ordine, aiuta proprio qui: rende la solitudine praticabile.
La lettura come stanza mentale
Quando apri un libro entri in un luogo che non dipende da nessuno. Non serve consenso, non serve performance, non serve "fare bella figura". È una stanza mentale che puoi arredare con la tua attenzione. E, in quella stanza, scopri qualcosa di sorprendente: la compagnia non coincide sempre con la presenza fisica di un'altra persona. A volte è una voce scritta che ti accompagna, una storia che ti allarga, un pensiero che ti fa da specchio.
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